Fast fashion: il negativo impatto ambientale causato dall’industria della moda
Fast Fashion (dall’inglese letteralmente “moda veloce“), è un termine utilizzato per descrivere il sistema di produzione e distribuzione di abbigliamento che mira a rispondere rapidamente alle tendenze attuali. Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 1989 quando Zara sbarcò a New York e il giornale New York Times sottolineò subito come il brand avesse come obiettivo dichiarato quello di impiegare solo 15 giorni per progettare, produrre, distribuire e vendere i suoi capi.
Da Zara agli altri brand il passo è stato veloce, tanto quanto la diffusione del concetto. E oggi con fast fashion si fa riferimento a tutto quell’abbigliamento che passa attraverso grandi catene di distribuzione, dove si vendono capi a basso costo che solitamente, stagione dopo stagione, copiano gli ultimi stili delle passerelle, riproponendoli a condizioni accessibili per il grande pubblico che altrimenti non potrebbe permetterseli.
I colossi del fast fashion hanno vissuto il loro “periodo d’oro” tra gli anni ’90 e i 2000. In quest’arco temporale si è infatti assistito ad una loro diffusione mondiale e capillare, arrivando a competere per diffusione, e fatturato, con realtà di lusso.Sintetizzando, possiamo dire che i grandi colossi del fast fashion hanno:
- reso la moda democratica perché accessibile a tutti
- modificato il concetto di “collezione” con un ricambio continuo dell’offerta
- compreso e sfruttato le nuove tendenze d’acquisto puntando sul comportamento compulsivo del consumatore
Un’idea geniale di marketing, con conseguenze non di poco conto: dall’iper produzione, allo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo e senza diritti, a volte del lavoro minorile. E c’è soprattutto la questione ambientale, su cui ci concentreremo in questo articolo.
D’altronde si sa, abbigliamento a basso costo vuol dire produrlo e distribuirlo puntando al prezzo più competitivo e questo è possibile solo se si svalutano alcuni importanti aspetti della produzione.
La produzione di abbigliamento ha un alto impatto ambientale in termini di tintura, consumo di acqua, preparazione del filato, produzione di fibre, utilizzo di pesticidi e fertilizzanti nella coltivazione del cotone, ed emissioni di gas serra durante il trasporto dei prodotti.
Inoltre, i capi di abbigliamento a basso costo spesso sono realizzati con materiali sintetici che non possono essere facilmente riciclati, il che contribuisce all’accumulo di rifiuti tessili. Basti pensare che ogni secondo viene bruciato o gettato in una discarica l’equivalente di un camion della spazzatura pieno di vestiti, e che circa il 60% dei materiali utilizzati dall’industria della moda sono in plastica , con la conseguenza che ogni anno vengono rilasciate nei mari 500 mila tonnellate di microfibre, ovvero l’equivalente di 50 miliardi di bottiglie di plastica.Senza contare che secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, le emissioni della sola industria tessile saliranno del 60% entro il 2030. Si può dire che sia davvero il caso di fare una seria riflessione sulle nostre abitudini d’acquisto: un capo in meno, un albero in più.
Ultimamente si respira una crescente consapevolezza dell’impatto ambientale e sociale del fast fashion, e per fortuna sempre più consumatori scelgono di acquistare abbigliamento sostenibile. Ci sono davvero tante opzioni per fare acquisti responsabili, come scegliere capi di abbigliamento realizzati con materiali naturali e biodegradabili, acquistare da marchi che utilizzano pratiche sostenibili nella produzione e che supportano lavoratori equamente retribuiti, o naturalmente acquistare capi vintage.
Acquistando da Garde Robe non solo avrete la soddisfazione di possedere un oggetto prezioso e di valore, ma avrete anche fatto un piacere all’ambiente con la vostra scelta ecologica e consapevole.
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